Home Notizie Smart Working: cresce nelle grandi aziende

Smart Working: cresce nelle grandi aziende

Martedì 30 Ottobre 2018 19:31

E’ una realtà nel 56% delle grandi imprese. Gli Smart Worker in Italia sono 480.000. Più della metà delle grandi imprese e solo l’8% delle PMI ha iniziative concrete Smart Working. Poche iniziative sono presenti nel settore pubblico, anche se è stato uno stimolo la legge sul Lavoro Agile dello scorso anno.

Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2018 gli Smart Worker (lavoratori dipendenti che godono di flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro, disponendo di strumenti digitali adatti a lavorare in mobilità) sono circa 480mila, in crescita del 20%, e si ritengono più soddisfatti dei lavoratori tradizionali sia per l’organizzazione del lavoro (39% contro il 18%) che nelle relazioni con colleghi e superiori (40% contro il 23%). Sono prevalentemente uomini, con fascia di età tra i 38 e 58 anni e residenti nel Nord-Ovest e del Paese.
In Italia oltre una grande impresa su due (il 56% del campione) ha avviato progetti strutturati di Smart Working, adottando modelli di lavoro che introducono flessibilità di luogo, orario promuovendo la responsabilizzazione sui risultati (erano il 36% un anno fa). A queste, bisogna aggiungere un ulteriore 2% che ha realizzato una qualche iniziativa informale e l’8% che prevede di introdurre progetti nel prossimo anno, per cui complessivamente circa due grandi aziende su tre stanno già sperimentando una qualche forma di Smart Working.
Tra le PMI, invece, lo Smart Working risulta sostanzialmente stabile rispetto al 2017: l’8% ha progetti strutturati e il 16% informali. A differenza delle altre tipologie di organizzazioni però, è ancora elevato il numero di realtà che si dichiarano completamente disinteressate all’introduzione di questo nuovo modo di lavorare (38%).
La Pubblica Amministrazione, dopo il primo slancio dato dalla riforma Madia, si trova ancora all’inizio del percorso. L’8% degli enti pubblici ha avviato progetti strutturati di Smart Working (in crescita rispetto al 5% un anno fa), l’1% lo ha fatto in modo informale, un altro 8% prevede iniziative il prossimo anno. Ma la maggioranza ancora non si è mossa: nel 36% delle Pubbliche Amministrazioni lo Smart Working è assente ma di probabile introduzione, nel 38% incerta, il 7% non è interessata. Sempre per quanto riguarda la PA va ricordato che era in vigore l’obbligo di dare la possibilità ad almeno il 10% dei dipendenti di fruire di forme flessibili di organizzazione del lavoro. Solo il 15% ha raggiunto tale obiettivo.

Rapporto individuale
I lavoratori aderiscono ad accordi volontari. Si deve ancora lavorare sul nuovo sistema di ingaggio e su opportunità di cercare una leva di benessere, soprattutto nelle strutture della pubblica amministrazione.
L’accordo contenuto nella legge 81 modifica il sistema di relazioni industriali e apre la strada ad un rapporto di tipo individuale. L’approvazione della legge sul lavoro agile è sicuramente stata da stimolo nell’attivazione delle iniziative, in particolare nel settore pubblico.
Per quanto riguarda le procedure richieste dalla norma, queste hanno avuto un effetto negativo nel 45% delle grandi imprese, per la maggiore complessità nelle comunicazioni da effettuare e per i maggiori oneri nell’adeguare gli accordi individuali.
Questa evoluzione di colloca in un momento particolarmente difficile, in quanto il sistema di rappresentanze sindacali vive una crisi importante, proprio perché fondato sul contratto nazionale di lavoro e non sul principio dei diritti specifici di ciascun lavoratore, come, ad esempio, la formazione continua.
Nel corso del convegno di presentazione della ricerca del PoliMi, l’attuale fase di applicazione dello smart working è stata paragonata al caso in cui, dopo la vendemmia,  il vino nuovo venga messo in otri vecchi. In tale situazione, gli otri vecchi potrebbero essere rappresentati dal concetto del lavoro, dalla conciliazione tra vita lavorativa e vita privata. In verità, la legge 81 avrebbe dovuto superare la distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato per prefigurare uno scenario futuro evolutivo del rapporto di lavoro, in cui è anche probabile che possa rientrare in gioco una sorta di vecchio contratto a progetto.
L’esempio degli otri vecchi si rifà anche un approccio organizzativo ancora troppo tradizionale, legato alla produzione di prodotti e servizi, mentre nel contratto personalizzato le parti si adattano in funzione degli obiettivi che vengono condivisi e la vera novità sta nel diritto all’apprendimento, oltre che alla disconnessione.

Smart Working nelle grandi imprese
Nelle grandi imprese il fenomeno dello Smart Working è ampiamente diffuso e il suo impatto è sempre più evidente e pervasivo. È quanto emerge dal sondaggio su un campione di 183 imprese con più di 250 addetti. In oltre una grande impresa su due (56%) sono presenti progetti strutturati di Smart Working: il 16% di essi è in fase di sperimentazione del modello e sta sviluppando un progetto pilota che nella maggior parte dei casi dura circa 6 mesi e coinvolge circa il 14% della popolazione aziendale; il 44% è in fase di estensione e della partecipazione a una platea più ampia e il restante 40% dei progetti, è a regime e coinvolge tutti coloro che possono essere inclusi nell’iniziativa. Resta tuttavia una minoranza consistente (13%) di realtà che non hanno sviluppato e non intendono sviluppare iniziative in tal senso o che non sanno se lo faranno in futuro.
Il modello più diffuso tra le grandi imprese comprende solo la possibilità di lavorare da remoto, scelta adottata dal 53% nelle grandi imprese, mentre il restante 47% dei progetti strutturati affianca al lavoro da remoto iniziative di ripensamento degli spazi. Rispetto al luogo in cui lavorare, invece, il 45% del campione delle grandi imprese lascia alle persone completa autonomia e libertà di scelta. Le altre organizzazioni preferiscono indicare i luoghi consentiti nel progetto di Smart Working: i più diffusi sono l’abitazione del lavoratore (80%), le altre sedi aziendali (74%), gli spazi di coworking (58%) e i luoghi pubblici (52%).
Il 59% delle grandi imprese ha introdotto nuove tecnologie digitali per supportare i progetti di Smart Working, mentre nel 27% delle imprese gli Smart Worker erano già dotati delle tecnologie necessarie. Quasi una su quattro (23%) ha incoraggiato i propri dipendenti a utilizzare i dispositivi personali per adeguare gli strumenti aziendali a disposizione e il 14% ha utilizzato strumenti in condivisione tra le persone. Solo in pochi progetti viene definito un budget per l’integrazione tecnologica (26%), mentre nella maggior parte dei casi non è previsto perché non si ritengono necessari extra costi (13%) o perché le iniziative realizzate erano già previste nei piani della direzione IT (22%) oppure perché il budget necessario verrà stanziato di volta in volta in base alle necessità (30%). Il restante 9%, infine, non sa se sia stato stanziato un budget dedicato. Tuttavia, non sempre l’assenza di un budget denota una scarsa attenzione al tema della tecnologia, poiché è una scelta che può risentire del livello di maturità del progetto.

smart tav3

La legge sul Lavoro Agile
A un anno dall’entrata in vigore della legge sul Lavoro Agile, l’Osservatorio ha analizzato gli effetti della nuova normativa come incentivo a progetti di Smart Working. Nella PA, tra chi ha avviato progetti strutturati di Smart Working, ben il 60% lo ha fatto su stimolo della normativa, mentre solo il 23% degli enti pubblici aveva già̀ pianificato di introdurre lo Smart Working prima dell’evoluzione della normativa e il 17% aveva introdotto lo Smart Working prima della normativa. Tra le imprese invece la situazione è ben diversa: appena il 17% di chi fa Smart Working ritiene la normativa uno stimolo (stessa percentuali tra grandi e PMI), mentre l’82% delle grandi imprese e il 76% delle PMI aveva già introdotto o pensato di introdurre lo Smart Working prima della legge.
Tra le grandi imprese solo il 6% trova positivo l’impatto della legge, il 49% non indica “nessun impatto” e il 45% individua un impatto negativo in particolare per la complicazione nei processi di trasmissione delle comunicazioni e l’adeguamento degli accordi individuali e delle policy. Più divisa sul tema la PA: il 27% vede un impatto positivo, il 43% nessun impatto, il 30% negativo.

Criticità e benefici dello Smart Working
I benefici del lavoro agile non sono solo in termini di equilibrio e soddisfazione individuale, ma anche di performance delle persone e dell’organizzazione nel complesso. Dal punto di vista organizzativo, l’indagine rivela che lo Smart Working contribuisce ad aumentare la produttività di circa il 15% e a ridurre il tasso di assenteismo di circa il 20%. Secondo un sondaggio sui responsabili degli Smart Worker, questo modo di lavorare ha un impatto molto positivo sulla responsabilizzazione per il raggiungimento dei risultati (37% del campione), sull’efficacia del coordinamento (33%), sulla condivisione delle informazioni (32%), sulla motivazione e la soddisfazione sul lavoro (32%) e la qualità del lavoro svolto (31%). Il 30% dei responsabili, poi, registra miglioramenti anche nella produttività, nella gestione delle urgenze e nell’autonomia durante lo svolgimento delle attività lavorative. L’unico aspetto su cui pochi manager (11%) dichiarano un impatto negativo è la condivisione delle informazioni. Ma i benefici riguardano anche la riduzione dei costi di gestione degli spazi fisici in termini di affitti, utenze e manutenzioni, con il 30% di risparmi nelle aziende che hanno ripensato la struttura degli spazi, e il work-life balance, con almeno l’80% dei dipendenti di imprese con progetti di Smart Working che hanno ottenuto un migliore equilibrio fra vita professionale e privata.
Fra le criticità di chi fa Smart Working la più frequente è la percezione di un senso di isolamento circa le dinamiche dell’ufficio (18%), seguita dal maggiore sforzo di programmazione delle attività e di gestione delle urgenze (16%). Altre difficoltà sono legate alle distrazioni esterne, come la presenza di altre persone nel luogo in cui si lavora (14%), alla necessità di frequenti interazioni di persona (13%) e alla limitata efficacia della comunicazione e della collaborazione virtuale (11%). Sono pochissimi, inoltre, gli Smart Worker che incontrano difficoltà nell’uso delle tecnologie legate al lavoro agile. Una buona percentuale di lavoratori agili (14%) non percepisce alcuna criticità.

Le leve di un progetto strutturato di smart working vengono così individuate:

  • Politcy organizzative, in riferimento a flessibilità di orari, di spazi e luoghi di lavoro.
  • Layout con cambiamenti significativi sulle modalità di lavoro e di rapporto tra le persone.
  • Scelte relative alle tecnologie, in particolare a quelle che agevolano la comunicazione e la collaborazione all’interno e fuori dall’organizzazione.
  • Comportamenti e stili delle persone collegati sia alla cultura degli addetti sia all’approccio dei manager nell’esercizio dell’autorità e del controllo.

Confrontando le aziende che hanno adottato lo smartworking con quelle che lavorano in modo tradizionale emerge che i manager delle prime hanno sviluppato particolari capacità su vari aspetti di leadership, in particolare: senso della comunità, decisione su utilizzo degli strumenti di comunicazione, flessibilità e capacità di responsabilizzare i collaboratori.
smart tav1

Smart, Agile, Flessibile, Good. Tanti sono ormai i termini impiegati per descrivere l’evoluzione del lavoro nelle organizzazioni. E possibile che lo spazio di lavoro moderno si basi su tre pilastri: la crescita delle persone (accompagnata dalle nuove dotazioni di servizi avanzati), l’ingaggio dei collaboratori (con nuovi profili professionali) e l’occupabilità (in funzione delle possibili competenze richieste dalle attività da svolgere).

"La Smart Working, una rivoluzione da non fermare", dice l'Osservatorio del Politecnico di Milano. Siamo d'accordo, e consapevoli che la posta in gioco é molto alta. 

work

Ultimo aggiornamento Martedì 13 Novembre 2018 12:50