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Lo Smart Working secondo l'ISTAT

Venerdì 03 Luglio 2020 18:07

Secondo il Rapporto 2020 dell’Istat sono oltre 4 milioni gli italiani che lavorano in smart working, 3 milioni in più rispetto al 2019.
Considerando le professioni per le quali il lavoro agile è normalmente fattibile, questa cifra può crescere a 7 milioni, di cui 4,1 milioni che richiedono supervisione e 2 milioni con elevata autonomia. La percentuale di chi lavora da casa passa dal 12,6% di marzo al 18,5% di aprile, con ulteriore crescita in maggio.

L’Istat evidenzia che “l‘esperimento dello smart working, bruscamente accelerato dall’emergenza sanitaria, ha messo in evidenza le potenzialità dello strumento, al netto delle criticità legate all’ampio divario digitale che caratterizza il Paese e alle cautele legate agli squilibri tra lavoro e spazi privati”.

Estratto da Capitolo 3 - Mobilità sociale, diseguaglianze e lavorosmart
"Il lavoro da casa è un’opportunità ed è associato ad ampi livelli di autonomia nell’influenzare sia i contenuti del lavoro, sia la loro sequenza di svolgimento: il 60,3 per cento di chi lavora da casa ha ampia autonomia su entrambi gli aspetti (a fronte del 35,5 per cento del totale) e solo il 5,5 non ha nessun margine di autonomia (a fronte del 25,6 per cento del totale).
Tuttavia va evidenziato il rischio che il confine tra tempi di lavoro e tempi di vita diventi labile e, dunque, il lavoro risulti invasivo.
Circa il 40 per cento di chi lavora da casa (luogo principale o secondario) dichiara di essere stato contattato al di fuori dell’orario di lavoro almeno tre volte da superiori o colleghi nei due mesi precedenti e la quota arriva quasi al 50 per cento tra chi usa la casa come luogo di lavoro occasionale.
Inoltre, viene richiesto di fornire una risposta tempestiva anche se al di fuori dell’orario di lavoro al 26,1 e al 20,9 per cento di chi lavora a casa come luogo principale e secondario e al 33 per cento di chi lavora a casa occasionalmente. Ai 408 mila lavoratori dipendenti che hanno risposto di utilizzare la propria abitazione come luogo principale o secondario di lavoro (1,7 per cento degli occupati, il 2,3 per cento dei lavoratori dipendenti) è stata posta una domanda sull’uso di istituti contrattuali come il telelavoro e/o lo smart working.
Solo in un numero limitato di casi il lavoro da casa è formalizzato: l’8,2 per cento di chi lavora a casa ha un contratto di telelavoro (lo 0,2 per cento del totale dei dipendenti) e il 20,2 per cento un accordo di smart working (0,5 per cento del totale), per un totale di circa 116 mila persone. In entrambi i casi gli istituti sono riservati quasi esclusivamente ai lavoratori a tempo indeterminato, in gran parte (circa il 73 per cento) nel settore dei servizi. Per verificare ampiezza e capillarità che il fenomeno potrebbe assumere è stato condotto un esercizio per valutare il grado di “fattibilità da remoto” delle varie professioni e stimato il numero di occupati che potenzialmente potrebbero svolgere il loro lavoro da casa. 
Si tratterebbe di circa 8,2 milioni di occupati (35,7 per cento degli occupati) e di questi solo il 12,1 per cento (circa un milione) ha concretamente sperimentato questa possibilità nel corso del 2019 allorché la casa è stata luogo principale o secondario o occasionale. La metà dei lavori fattibili da remoto ricade nel sottogruppo caratterizzato da elevata autonomia, il 27,5 per cento nel gruppo di quelle professioni svolte con supervisione e il 21,7 per cento in quelle che si possono svolgere da remoto in situazioni di emergenza. Le professioni che potrebbero essere svolte con modalità remota riguardano una quota maggiore di occupate (37,9 per cento contro 33,4 per cento degli occupati), di ultracinquantenni (37,6 per cento contro 29,5 per cento dei giovani occupati), del Centro-Nord (37 per cento contro il 28,8 per cento del Mezzogiorno), di laureati (64,2 per cento contro 37,4 per cento dei diplomati e 9,4 per cento degli occupati che hanno raggiunto l’obbligo scolastico).
Escludendo alcune professioni per le quali si può considerare che il lavoro da remoto sia preferibile solo in situazioni di emergenza (ad esempio gli insegnanti nei cicli di istruzione primaria e secondaria), si individuerebbero circa 7 milioni di occupati che potrebbero lavorare a distanza: 4,1 milioni tra le professioni che richiedono supervisione e 2,0 milioni tra quelle ad elevata autonomia.
Considerando i settori di attività, quelli con la maggiore densità di professioni fattibili da remoto – sempre escluse quelle in cui lo smart working è possibile come modalità di emergenza – sono i comparti dell’informazione e comunicazione, delle attività finanziarie e assicurative e dei servizi alle imprese (rispettivamente 89,9 per cento, 82,6 per cento e 60,3 per cento di professioni che possono essere svolte da remoto in condizioni ordinarie).
In questi tre segmenti il lavoro da casa nel 2019 ha effettivamente interessato una quota relativamente più alta pari, rispettivamente, al 19,8 per cento, 10,9 per cento e 22,1 per cento degli occupati.
Del tutto differente è invece la situazione nei servizi generali della PA, dove su circa un milione di occupati (al netto delle forze armate) almeno il 56,5 per cento potrebbe sperimentare, secondo l’esercizio qui condotto, il lavoro a distanza in situazioni “normali”, contro solo il 2,7 per cento (circa 15mila dipendenti) che nel 2019 dichiara di averlo effettivamente utilizzato."

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Ultimo aggiornamento Mercoledì 08 Luglio 2020 14:23