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E-Job, il lavoro a distanza

Lunedì 01 Settembre 2014 14:15

Il telecommuting, o telework, o telelavoro, o E-Job è il lavoro a distanza. L'articolo spiega cosa è, quali sono i pro e i contro, l'effettiva fattibilità, il punto della situazione nazionale e internazionale.

Questo che state leggendo è il primo di una serie di articoli che affronterà l'evoluzione del lavoro all'interno di un sistema socio-politico-economico in rapidissimo mutamento. Attraverso questo, e i successivi articoli, analizzeremo alcuni trend di sviluppo fondamentali per comprendere il lavoro di domani e, quindi, il mutamento a cui andrà necessariamente incontro il lavoro attuale.
Questo è: Lavoro in Divenire.

bullet-arancio E-Job, questo sconosciuto.

Il termine telecommuting deriva dall'inglese "to commute" che rappresenta il processo di spostamento del lavoratore da casa al luogo di svolgimento del suo lavoro.

Il termine fu introdotto nel 1973 dal fisico e ingegnere Jack Nilles, all'interno di un progetto di ricerca relativo all'impatto delle nuove tecnologie sul mondo del lavoro per l'Università della California del Sud.

Da allora, sono passati 40 anni esatti, molto è stato scritto e ancor più è stato fatto.

Ma andiamo per ordine e analizziamo i termini. In letteratura esiste una leggera differenza tra Telecommuting e Telework: il primo è quando esiste ancora un posto di lavoro fisico (il lavoratore lavora "fuori sede" solo una percentuale del tempo), il secondo denota invece una più profonda "virtualizzazione" del posto di lavoro che, in tal caso, non esiste più fisicamente ma può essere casa propria o un qualsiasi altro posto eleggibile al tipo di lavoro in questione. Ad esempio, un ispettore di qualcosa (cantiere, igiene, etc) è un telecommuter in quanto passa molto del suo tempo di lavoro non in ufficio. Per identificare entrambe le accezioni in modo più generico io uso il termine E-Job o, abbreviato, EJ.

bullet-arancio E-Job, quando e come.

Con la rapida crescita della moderna telematica sono sempre di più i campi in cui si può passare dal lavoro tradizionale all'EJ. Praticamente la quasi totalità dei servizi e, più in generale tutte le attività che non abbiano necessità di interagire con continuità con mezzi meccanici particolari. Ho scritto "con continuità" in quanto anche un supervisore ad una catena di montaggio potrebbe lavorare da casa, tramite software diagnostici e videocamere, ma poi sarà comunque necessario l'intervento umano, in prima persona, per riparare l'unità malfunzionante.

Particolarmente indicati per l'EJ sono i lavori di terziario relativamente all'archiviazione e/o protocollo, analisi dati, supporto al cliente. Per esempio buona parte delle funzioni della pubblica amministrazione possono essere passate in EJ (cosa che negli USA, come vedremo, sta già accadendo); come utile referenza al riguardo esiste in rete lo studio di oltre 130 pagine Deployment of Telework in European Public Administrations, stilato nel 1999 dal Centre for Social Innovation di Vienna.

Tutte le tipologie lavorative possono essere convertite in EJ: i liberi professionisti, o consulenti, sono di sicuro la tipologia più ovvia, ma anche il lavoratore parasubordinato, o persino il subordinato, può essere EJ. La definizione di lavoratore subordinato è infatti quella di un lavoratore che non può lavorare senza gli strumenti messi a disposizione dal datore di lavoro ma, come tutti sappiamo, gli strumenti di un operatore del terziario, sono quei software e quei dati senza i quali la funzione lavorativa non può essere espletata.

Come trasformare un lavoro tradizionale in EJ è, in realtà, abbastanza facile: in un processo di automatizzazione (e virtualizzazione) del processo industriale basta fornire al lavoratore gli strumenti adatti.

I dettagli su come questo processo possa avvenire esulano dagli scopi di questo articolo e non verranno perciò trattati in questa sede ma una qualsiasi competente e moderna società di consulenza potrà certamente servire egregiamente allo scopo.

Secondo le statistiche del Global Workplace Analytics, il 50% degli impiegati negli USA può passare all'EJ.

bullet-arancio E-Job, a chi conviene.

Questo è il bello dell'EJ: conviene a tutti!

Conviene al lavoratore che risparmia su tempi e costi di spostamento e può generalmente godere anche di un orario maggiormanete flessibile.

Conviene al datore di lavoro che vede drasticamente ridotti i costi d'impresa: niente uffici significa risparmio diretto sul costo dell'immobile ma anche risparmio indiretto sulla sua manutenzione, elettricità, climatizzazione, etc.

Conviene all'ambiente e al territorio che, visto il mancato spostamento di una percentuale della popolazione, è meno inquinato e in generale più facile da gestire a livello di infrastruttore di trasporto.

Il fatto che il datore di lavoro risparmi sul costo d'impresa può trasformarsi in un aumento della retribuzione per i dipendenti, o in un aumento dell'occupazione o nella creazione di benefit per i dipendenti; in genere, a seguito di accordi, si ha una combinazione di tutti e tre queste opzioni.

Da una statistica apparsa di recente sulla rivista digitale americana Inc. Magazine, in America il telelavoratore risparmia circa dai 2k ai 5k dollari annui mentre il tele datore di lavoro risparmia fino a 11k dollari annui per ogni telelavoratore; incrociando i dati, Global Workplace Analytics ha calcolato che se chi può e vuole passare all'EJ lo facesse anche solo per il 50% dei giorni lavorativi totali gli USA risparmierebbero 700 miliardi di dollari l'anno.

Un ulteriore vantaggio per il datore di lavoro è l'avere un controllo assai maggiore sui livelli di produttività dei dipendenti che in un ufficio tradizionale: il lavoro a distanza viene eseguito tramite software specifici che possono fornire statistiche rilevanti sul lavoro svolto. Il luogo comune che il lavoratore da casa non possa essere controllato, e che quindi lavori meno, è causato da mera ignoranza sui mezzi tecnologici a disposizione.

A tal proposito vale la pena aprire una rapida parentesi e menzionare che la scelta della CEO di Yahoo di rimuovere il lavoro da casa in quanto scarsamente produttivo è stata dettata dalla priorità di non volere mettere in atto meccanismi avanzati di controllo della produttività; avendo a disposizione le strutture per accogliere in sede i lavoratori hanno preferito optare per un approccio più rapido e tradizionale, anche nell'ottica del co-working, di cui parleremo in un prossimo articolo. Trovate maggiori informazioni sulla scelta di Yahoo e sul telelavoro in generale al link del sito Market Watch riportato a fine articolo (solo in inglese).

Infine l'EJ consentirebbe anche a chi si trova in posizioni geografiche isolate o logisticamente svantaggiate, di ottenere un impiego senza necessità di emigrare.

Ovviamente non è tutto oro quello che luccica! Diverse obiezioni vengono sollevate verso l'EJ, quasi tutte riconducibili a due categorie: socialità e sicurezza.

Che fine fa l'aspetto sociale di un lavoro con l'EJ? Di sicuro viene drasticamente ridotto ma vi sono oramai rimedi tecnologici per minimizzare il disagio: la connessione in tempo reale via chat o voce con i colleghi (o addirittura la video conferenza). Io stesso, quando ho lavorato come teleworker per un'importante società finlandese dal 2006 al 2010, mi tenevo in permanente contatto con il mio superiore via chat e con i miei colleghi via Skype... Molto comodo.

Inoltre non è detto che il lavoro debba essere virtualizzato al 100%: si potrebbero comunque mantenere briefing e meeting periodici di persona.

Il problema della sicurezza riguarda invece la riservatezza di dati e procedure aziendali: come esser certi che non via sia un accesso o una divulgazione non autorizzata? Entrare nel dettaglio ci allontanerebbe, ancora una volta, dall'obiettivo del presente articolo... Basti dire che esistono ora soluzioni logistiche e tecnologiche che consentono una sicurezza pari, se non superiore, a quella che si otterrebbe tenendo il lavoro limitato ad un ufficio.

bullet-arancio E-Job, utopia o realtà?

Molti vantaggi e pochi svantaggi. Come mai non si è ancora passati massivamente all'EJ? E' solo un'utopia teorica o è una realtà attuabile?

Che sia attuabile lo dimostrano i numeri (che andremo ad analizzare nel prossimo, e ultimo, paragrafo) e il fatto che molta gente (come me, ad esempio) ha già lavorato, con soddisfazione, da casa.

Quaranta anni di solidi studi e quasi un ventennio di sperimentazioni pratiche hanno reso il concetto di EJ non solo affidabile e rodato ma, con la tecnologia attuale, facilmente realizzabile.

Perché allora andiamo tutti i giorni al lavoro sprecando tempo per il quale non veniamo pagati, spendendo soldi in benzina o abbonamenti di mezzi di trasporto e inquinando l'ambiente nel contempo?

Vari sono i fattori che rendono il nostro paese "resistente" (per non dire "impermeabile") a certi cambiamenti: di sicuro spicca primo tra tutti il fattore tecnologico. Per il sito netindex.com l'Italia è al 93° posto come velocità di connessione, dopo il Rwanda, la Nigeria e altri paesi del Terzo Mondo; per fare altri esempi, Romania, Svezia e Olanda sono al 7°, 8° e 9° posto, gli USA al 33° (utile in tal senso anche l'articolo Home Internet May Get Even Faster in South Korea del New You Times).

Segue la mentalità: se il dipendente fantozziano tipo non fa un cavolo in ufficio figuriamoci a casa. Figurarsi poi se le italiche aziende hanno lo spirito di innovazione tale da fare un salto nel buio come l'investire nell'EJ. Occorrerebbe anche abbandonare definitivamente la carta stampata a favore dell'elettronico... Processo contro il quale l'Italia sta strenuamente lottando da oltre un ventennio.

Un altro problema è strutturale: siamo ancora legati a processi manifatturieri con miriadi di PMI ("la fabbrichetta") che in realtà non sono più competitivi sul lungo termine a meno di integrare un valore aggiunto specifico o altri casi particolari. Lo sviluppo dell'economia dei servizi non ha mai preso piede quanto negli altri paesi: basta confrontare il livello medio del servizio di assistenza clienti delle società italiane con quello di società multinazionali o estere.

Successivamente c'è il problema legislativo: se il lavoratore casca e si fa male è incidente sul lavoro o no? Come convincere un giudice ultrasessantenne, il cui concetto di lavoro subordinato tipo è rimasto l'operaio da catena di montaggio simil Tempi Moderni, che anche il lavoratore da casa gode delle tutele di un CCNL? Come gestire un EJ quando neppure gli attuali CCNL lo prendono in considerazione?

I problemi sono tanti e non certamente semplici e, per essere superati, necessitano di una mole di investimenti non certo trascurabile.

bullet-arancio E-Job, il punto della situazione.

Si dice che chi ben inizia è a metà dell'opera. Noi in Italia non abbiamo mai iniziato.

Anzi, per essere precisi iniziammo... E anche bene. Prendete il sito Telelavorare.org: stupendo. Completo, esaustivo e un ottimo inizio. Peccato sia stato abbandonato nel 2002!

L'iniziativa Telelavorare.org prese vita dallo stanziamento di alcuni fondi europei a seguito della legge 236 del 1993 (Interventi Urgenti a Sostegno dell'Occupazione) e fu stilato tra il 1999 e il 2002 dal Consorzio Lavoro e Ambiente. Ottimi propositi e buona volontà, un risultato di altissimo livello e poi tutto giù nel secchione al successivo cambio di governo.

Il risultato è talmente buono che ne consiglio la lettura a chi vuole approfondire l'argomento.

La struttura del sito, un po' datata, non è il massimo nell'usabilità quindi vi consiglio di iniziare dal link http://www.telelavorare.org/ricerca/cap01_frame.html .

Per un approccio più specifico del telelavoro alla pubblica amministrazione italiana esiste il sito telelavoro.formez.it che, creato agli inizi del 2000, è stato aggiornato fino al 2007 circa. Questo sito contiene anche una lista esauriente delle normative riguardanti in Italia il telelavoro ed è utile per chi vuole interessarsi all'aspetto più legale dell'argomento.

Infine è da citare il progetto europeo EuroTelework (con l'omonimo sito www.euro-telework.org), seguito del progetto MIRTI (Models of Industrial Relations for Telework Innovation) curato dall'italianissimo dott. Rizzo. Anche questo progetto, partito nel 2000, ha contenuti aggiornati fino al 2002, anche se sul sito si legge che l'ultimo aggiornamento è di Dicembre 2010. Anche questo sito è interessantissimo e ricco di risorse (anche se solo in inglese).

E all'estero? All'estero le chiacchiere le hanno abbandonate da un pezzo e il futuro è già iniziato. Negli USA, sempre per le statistiche di Inc. Magazine, i telelavoratori sono aumentati da 1,5M nel 2005 a 2,4M nel 2011 (un incremento del 60% in 6 anni) per arrivare agli attuali 3,3M (fonte Global Workplace Analytics). E la cosa più interessante è che il telelavoro viene utilizzato primariamente dalla pubblica amministrazione (governo federale) che guida con un 3,3% la lista dei settori con maggior tasso di posti di lavoro virtualizzati; seguono le aziende no profit con 2,9% e il settore privato con 2,6%. Vorrei far notare che, sebbene le percentuali siano piccole, non solo vanno riferite ad una mole di lavoratori molto superiore di quella italiana, ma vanno anche lette come l'indice di un piano strutturato... vocePiano che il presidente Obama sta portando avanti con forza all'interno del suo pacchetto anti crisi.

L'Italia ha dunque perso il treno?

Sì. In Italia non esiste ancora neppure un progetto coerente e concreto di virtualizzazione del lavoro. Di questo passo non raggiungeremo i numeri americani neppure per il 2020. Occorrerà faticare il doppio per recuperare il terreno perduto.

Roberto Voce
roberto.voce@gmail.com


Link utili:

 

http://www.nytimes.com/2011/02/22/technology/22iht-broadband22.html?_r=2&scp=1&sq=internet%20speed&st=cse&

http://www.incmagazine-digital.com/incmagazine/201304/?pg=34#pg34

http://www.marketwatch.com/story/yahoos-telecommuting-ban-shows-mayer-is-working-2013-03-04

http://www.globalworkplaceanalytics.com/telecommuting-statistics

Ultimo aggiornamento Lunedì 08 Settembre 2014 17:06